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Un argomento aperto ad infinite scoperte

 

Con il termine cellula intendiamo quella particella elementare di ogni essere vivente in grado di nutrirsi e riprodursi. Tuttavia si effettuano ancora ricerche per una più completa definizione della cellula.

 

Ma come si è arrivati alla concezione moderna della cellula? Il primo ad osservare e descrivere la cellula fu lo scienziato inglese Robert Hooke, uomo versatile considerato uno tra i più grandi sperimentatori del ‘600. Egli utilizzò per la prima volta un microscopio composto (formato cioè da un corpo cilindrico e da una lente biconvessa) per esaminare svariati oggetti, tra cui dei sottili pezzi di sughero. Notando che questi campioni, costituiti da una rete di spazi vuoti, assomigliavano alle celle occupate dai monaci nei monasteri, lo scienziato coniò il termine cellula. Hooke definì così la struttura della cellula, ma non riuscì a comprenderne il significato.

 

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Nello stesso periodo, a differenza di Hooke che aveva concentrato la sua attività sui microscopi composti, l’olandese Antoni van Leeuwenhoek si occupò principalmente di microscopi semplici: riuscì, infatti, a costruirne dei tipi che gli permisero di raggiungere ingrandimenti sempre più elevati. Per ottenere questi risultati egli utilizzò delle lenti potenti e di ottima qualità, ma difficili da manipolare e da mantenere a fuoco e per superare questo inconveniente, egli sistemava i campioni da osservare sulla punta di una vite, in modo da potere regolare con cura la loro distanza dall'obiettivo. L'osservatore doveva tenere lo strumento molto vicino all'occhio e guardare attraverso la lente. Con questo tipo di microscopio egli studiò soprattutto le cellule nervose, comprendendo che la struttura dei nervi periferici era costituita da innumerevoli prolungamenti del tessuto nervoso, e riuscì ad osservare, disegnare e descrivere una moltitudine di batteri tra cui, in particolare, quelli della saliva e quelli dell’acqua degli stagni.

 

Le prime concezioni moderne riguardo alle cellule apparvero, invece, intorno al 1800 quando, grazie all’uso dei microscopi ottici, gli scienziati furono in grado di osservarle più dettagliatamente. Nella sua forma più essenziale, infatti, il microscopio ottico sfrutta una sorgente luminosa per analizzare il tessuto campione ed è costituito da una combinazione di due lenti convergenti (l’obiettivo e l’oculare) montate ad una distanza fissa dal piatto su cui è posto il campione. Grazie a questo microscopio si ebbero rilevanti ingrandimenti dei campioni analizzati che permisero di evidenziare la distinzione tra nucleo e citoplasma utilizzando la tecnica della colorazione: essa consisteva nell’immergere, in una prima fase, il campione da analizzare in un colorante, detto ematossilina, che avrebbe colorato il nucleo; lo si immergeva, quindi, nell’acqua di fonte (acqua di rubinetto) affinché il colore passasse da bordeaux a blu; infine, lo si immergeva in un altro colorante, detto cosina, che avrebbe colorato il citoplasma. Ciò rese anche possibile le prime osservazioni dettagliate della divisione cellulare e in particolar modo le differenze tra mitosi e meiosi.

 

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