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> Thirty Years that Shoot Physics Issue: 2008-3 Section: Science
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La fisica ha ormai scoperto quasi tutto, bisogna solo chiarire alcuni dettagli. A distanza di più di cento anni le parole che Philip Von Jolly, professore di fisica a Monaco, rivolse a Max Planck, allora studente, ci danno l’idea di quanto sia limitato l’immaginario umano rispetto alle infinite manifestazione della natura.

La meccanica classica ha condizionato lo scenario comune e la concezione umana del mondo, incentrata sul modello deterministico: tutto ciò che avveniva aveva una causa definita a cui seguiva un effetto definito, fino a quando nel Novecento, appunto, Max Planck la rivoluzionò introducendo un nuovo concetto, che non faceva parte della fisica classica.

Max Planck espose, infatti nel 1900, il concetto di quantizzazione dell’energia per spiegare lo spettro di emissione del corpo nero: ovvero un corpo ideale capace di assorbire tutta la radiazione incidente sulla sua superficie e nel quale avviene un equilibrio tra la radiazione emessa e quella assorbita, in maodo che l’intensità di luce complessiva non dipenda dalla composizione chimica del corpo ma dalla sua temperatura. Essa, infatti, dipende dal rapporto tra la radiazione assorbita e quella emessa, che è uguale in tutti corpi ad una data temperatura. La fisica classica non riusciva a spiegare l’andamento dell’intensità luminosa ed è per questo motivo che fu introdotta la costante di Planck: nacque una nuova fisica, detta quantistica, che, contrapposta a quella classica, si basava su una concezione discontinua dell’energia.

Questa idea non fu accettata dai fisici del tempo, tuttavia tornò in auge per spiegare l’effetto fotoelettrico, esperimento condotto da Albert Einstein nel 1905. Tale esperimento consisteva nell’estrazione di elettroni dalla superficie di un metallo da parte di radiazione luminose incidenti ad essa. Per la legge di conservazione dell’energia, l’energia irradiata dalle radiazioni si trasferisce quindi in parte all’energia cinetica degli elettroni.

La meccanica classica prevedeva teoricamente che all’aumentare dell’intensità della radiazione luminosa aumentasse l’energia cinetica degli elettroni. L’evidenza sperimentale non confermò questa previsione, anzi registrò l’aumento di numero degli elettroni aventi tutti la stessa energia cinetica uguale a quella iniziale, rispettando la legge di conservazione. Si capì pertanto che l’energia poteva essere immagazzinata soltanto in quantità discrete, chiamati quanti.

Nel 1913 Niels Bohr utilizzò la teoria dei quanti per giustificare lo spettro di emissione discontinuo degli atomi. Egli ipotizzò un atomo nel quale gli elettroni fossero disposti in orbite circolari aventi ognuno un proprio valore di energia; quando un atomo assorbiva un quanto di energia l’elettrone cambiava orbita e, di conseguenza, livello energetico, rispettando la legge di conservazione dell’energia. Si raggiunse in tal modo una condizione di instabilità per la quale l’elettrone ritorna alla condizione di partenza emettendo il quanto di energia assorbito precedentemente sotto forma di radiazione elettromagnetica. Lo spettro di emissione risultò discontinuo in quanto un atomo poteva assorbire ed emettere solo quanti di energia definiti e non valori intermedi per i quali si otterrebbero spettri di emissione continui. Le evidenze sperimentali testimoniarono, quindi, che esistono valori discreti di energia anche per le radiazioni elettromagnetiche definite quanti di luce o fotoni. Con queste scoperte si abbandonò temporaneamente la teoria ondulatoria in favore di una rivalutazione di quella corpuscolare, avanzata per la prima volta da Isaac Newton nel XVII secolo.

L’interpretazione corpuscolare newtoniana, tuttavia, fu messa in crisi dagli esperimenti che evidenziarono fenomeni di diffrazione e di interferenza della luce, caratteristici dei moti ondulatori. Il primo di questi esperimenti fu quello di Thomas Young, nel 1801, che può essere così schematizzato: una sorgente luminosa illumina due piccole fenditure praticate in uno schermo opaco, e le immagini di queste sono proiettate su una lastra fotografica. Al termine dell’esperimento si osserva, nella lastra fotografica, un’alternanza di frange chiare e scure; ciò è una conseguenza dell’interferenza tra onde. Essa, però, può avvenire soltanto tra due o più onde e, in questo caso, esse sono ottenute dalla diffrazione che si verifica al passaggio tra le due fenditure dell’iniziale fascio luminoso. Questi effetti, di diffrazione e di interferenza, sono tipici di moti ondulatori e non sono integrabili nella teoria corpuscolare della luce. Anche questa teoria fu però messa in crisi dall’esperimento dell’effetto fotoelettrico che prevede un comportamento energetico discontinuo della luce non previsto dalla teoria ondulatoria. Nasce così la teoria quantistica della luce, per la quale essa è formata da quanti di energia. Quest’ultimi, per la teoria relativistica proposta da Einstein, agli albori del’900, equivarrebbero a piccole concentrazioni di massa, richiamando così la teoria corpuscolare di Newton.

Si dedusse però che le due teorie, prese singolarmente, non potevano descrivere tutti i fenomeni luminosi. La teoria ondulatoria, infatti, non prevedeva i quanti di luce mentre la teoria quantistica corpuscolare non includeva fenomeni di diffrazione e di interferenza.

L’unica soluzione era conciliare entrambe le teorie: nasce così la teoria dualistica onda-corpuscolo. Nel 1925 Louis De Broglie, basandosi su evidenze sperimentali, generalizzò tale teoria a qualsiasi corpo. Nell’esperimento delle due fenditure, infatti, sostituendo al fascio di luce un fascio di elettroni, si ottengono ugualmente fenomeni di diffrazione e di interferenza. La relazione matematica ottenuta da De Broglie, rispetto ad un determinato corpo, ci permise di conoscere la lunghezza d’onda di quest’ultimo, che si rivela inversamente proporzionale alla quantità di moto del corpo.

La dualità onda-corpuscolo si basa sul fatto che talvolta le onde elettromagnetiche possono comportarsi come particelle e, viceversa, particelle come gli elettroni possono comportarsi in modo indeterminato, perché diffuse nello spazio.

La teoria di De Broglie è stata applicata allo studio della struttura dell’atomo; lo sviluppo del modello atomico è legato a quello della teoria quantistica. Dal modello atomico di Bohr sappiamo che gli elettroni non possono occupare un’orbita qualsiasi, bensì orbite definite con determinati livelli di energia.

De Broglie ci aiutò a comprendere queste restrizioni, poiché ogni elettrone descrive un’onda stazionaria intorno al nucleo che, per non annullarsi, può soltanto essere un multiplo intero della lunghezza d’onda. L’elettrone, quindi, non può occupare qualunque orbita, poiché se così fosse l’onda delineata causerebbe una sovrapposizione distruttiva.

I livelli energetici e le relative funzioni d’onda che l’elettrone può occupare, invece, sono date dalle soluzioni dell’equazione formulata dal fisico austriaco Erwin Schrodinger, intorno al 1926. Questa equazione, che tiene conto di tutti i contributi di energia del sistema, fornisce come risultato i valori discreti delle funzioni d’onda possibili e i corrispondenti valori di energia; ed è, inoltre, possibile calcolare i salti di energia di un elettrone da un livello ad un altro, i cosiddetti salti quantistici, introdotti già da Bohr.

Il fisico britannico Max Born, in seguito, dette un ulteriore contributo allo sviluppo della meccanica quantistica, dando un’interpretazione probabilistica all’equazione di Schrodinger. Tale interpretazione, applicata alla descrizione della struttura atomica, implicò in parte l’abbandono del modello atomico di Bohr. Le orbite circolari proposte da quest’ultimo, infatti, risultano in contrasto con il carattere probabilistico che l’interpretazione dell’equazione di Schrodinger dà alla determinazione della posizione di un elettrone in un atomo. Viene, quindi, introdotto il nuovo concetto di orbitale definito come la regione di spazio in cui si ha la massima probabilità di trovare l’elettrone con un determinato valore di energia.

Un ulteriore sviluppo sul fronte del microcosmo si ebbe, subito dopo i lavori di Schrodinger, da parte di Werner Heisenberg con il suo principio di indeterminazione. Tale principio fu dedotto attraverso un esperimento ideale che consiste nel determinare la posizione e la velocità di una particella e, quindi, nel poter determinare la sua posizione istantanea e futura.

Queste grandezze vengono misurate con l’emissione di onde elettromagnetiche sulla particelle, quindi per eseguire queste misurazioni bisogna disturbare il suo moto. Tanto più si vuole essere precisi sulla posizione, tanto più bisogna diminuire la lunghezza d’onda della radiazione; così facendo aumenta la frequenza e di conseguenza anche l’energia. La particella verrà, quindi, disturbata maggiormente compromettendo la precisione della misurazione della sua quantità di moto. Questa indeterminazione è un limite che nasce dalla natura dalla materia e non dipende dalla precisione dei nostri strumenti. La formula matematica, alla base dell’indeterminazione, fu formulata nel 1927 da Heisenberg, e focalizza una relazione di inversa proporzionalità tra l’indeterminazione sulla posizione e quella sulla quantità di moto.

Il comportamento della materia su scala macroscopica è, però, diverso da quello che noi osserviamo a livello macroscopico. In contrapposizione al carattere deterministico della fisica classica, in cui la conoscenza della posizione e della velocità di un punto materiale in un dato istante è sufficiente per poter predire il suo percorso futuro, la meccanica quantistica propone un modello nel quale i fenomeni che avvengono a livello atomico vengono descritti su base probabilistica.

Tutto ciò che si osserva in quest’ambito è al di fuori della nostra immaginazione, in quanto l’uomo è abituato ad interpretare la realtà macroscopica attraverso leggi deterministiche.

Queste ultime non possono essere applicate ai fenomeni che avvengono su scala microscopica, e pertanto esse appaiono inspiegabili scontrandosi con il senso comune: la natura ci appare innaturale. Da quanto detto emerge la considerazione di Albert Einstein, in L’Evoluzione della Fisica, che la scienza è un libro nel quale la parola <fine> non è e né sarà mai scritta. Ogni importante progresso fa nascere nuovi quesiti. Alla lunga ogni sviluppo conduce a nuove, e più profonde difficoltà.

Alla luce di questa riflessione risulta evidente che anche la teoria quantistica, in maniera analoga alla fisica classica, in futuro potrà essere sostituita da una nuova teoria che falsificando i principi della teoria dei quanti, proporrà una nuova visione del mondo innovativa e rivoluzionaria.

Ogni teoria, infatti, è provvisoria e il suo valore non dipende dalla sua persistenza in forma immutata, ma dal fatto che in seguito a nuove conoscenze possa essere integrata da una nuova teoria.

Stiamo, quindi, attendendo un nuovo Planck che, proponendo una teoria più completa accoglierà e supererà il vecchio maestro così come Einstein ha accolto e integrato Newton.

 

Bibliography

  • Davies Paul, Le forze della natura, 1990, Bollati Boringhieri, Torino
  • Einstein Albert e Infeld Leopold, L’Evoluzione Della Fisica, 1938, Universale Bollati Boringhieri, Torino
  • Feynman Richard, Sei pezzi facili, 1963, Adelphi, Milano
  • Gamow Gorge, Trent’anni che sconvolsero la fisica, 1966, Zanichelli, Bologna
  • Gamow Gorge, Biografia della fisica, 1961, Oscar Mondatori, Milano
  • Penrose Roger, La mente nuova dell’imperatore, 2000, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano
  • Zeilinger Anton, Il velo di Einstein. Il nuovo mondo della fisica quantistica, 2003, Einaudi, Torino

 

Iconography

  • Max Planck, www.physics.gla.ac.uk/Physics3/Kelvin_online/clouds.htm, University of Glasgow – Department of Physics and Astronomy
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  • Modello atomico di Bohr, www.anisn.it/vicenza/scuole/Piga_lab/fiamma02.htm, ANISN Associazione Nazionale Degli Insegnanti di Scienze Naturali
  • Schrodinger’s Results, http://stochastix.wordpress.com/2007/09/06/wave-particle-duality-a-cartoon/, Reasonable Deviations, Image courtesy of N. Harding
  • Wave-Particle Duality,
  • www.quantiki.org/wiki/images/4/46/PhotonIdentityCartoon.gif, Quantiki portal

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  • Thomas Young, http://renesse.berloth.net/index.php?page=photography.htm – Van Renesse Consulting
  • De Broglie’s atomic model, www.sr.bham.ac.uk/xmm/atom1.html, University of Birmingham – Astrophysics & Space Research Group

 

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