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> A brief history about the pendulum Issue: 2003-2 Section: Science

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Tutti sanno che il pendolo, assieme alle sue proprietà fondamentali, fu studiato per la prima volta da Galileo Galilei (1564-1642) che scoprì una delle caratteristiche più importanti di questo oggetto fisico: l’isocronia delle sue oscillazioni. Galileo scoprì questo accorgendosi che il pendolo, benché diminuisca la propria ampiezza di oscillazione, non cambia il proprio periodo, che come vedremo più avanti dipende, oltre che dalla costante di gravità g, solo dalla lunghezza del pendolo e non dall’ampiezza. Galileo dopo aver scoperto che questa proprietà valeva per oscillazioni di angoli molto piccoli, la estese, erroneamente, anche ad angoli più grandi (dopotutto è comprensibile dati i suoi strumenti di misura: basti pensare che misurava il tempo sentendosi il polso, con una propagazioni degli errori che è facile intuire). Il fatto che questa proprietà valga con approssimazione accettabile solo per angoli molto piccoli deriva dal fatto che nel risolvere le equazioni del moto del pendolo, noi consideriamo lo spazio che il pendolo compie nella sua oscillazione come un arco di circonferenza, mentre esso è una corda di circonferenza. Logicamente, solo per piccole corde questa approssimazione ci permette di non sbagliare in maniera eccessiva.

Ciò nonostante, questo permise di determinare il periodo caratteristico di ogni pendolo di lunghezza l con un’approssimazione sufficiente per quel tempo e, usando pendoli che compivano oscillazioni di piccola ampiezza, fu possibile costruire i primi cronometri che permisero di misurare in maniera soddisfacente gli intervalli di tempo, dando così la possibilità di abbandonarne la misurazione mediante i battiti cardiaci. Ecco una ricostruzione del primo pendolo usato come cronometro:

 

In seguito, Christian Huygens (1629-1695), nel 1656, costruì il primo orologio a pendolo. Egli si rese conto che, per rendere l'oscillazione ancor più regolare, era opportuno far descrivere alla massa oscillante non un arco di circonferenza, ma un arco di cicloide (è la curva che viene descritta, ad esempio, ai giorni nostri, dalla valvola della ruota di una bicicletta in movimento). Gli orologi moderni si basano su questa fondamentale proprietà del pendolo, e ovviamente, minore sarà l’ampiezza che gli oscillatori compiranno all’interno del nostro orologio, minore sarà l’errore che compiranno.

Ci furono poi altre scoperte relative alle proprietà del pendolo: una delle più importanti fu quella relativa al piano di oscillazione del pendolo: questo tende a conservare immutato il proprio piano di oscillazione, rispetto a un sistema di riferimento inerziale.

Dal momento che la terra non è un sistema di riferimento inerziale, poiché ruota attorno al proprio asse, il piano di oscillazione del pendolo ruota rispetto al suolo terrestre, di un angolo che dipende, per ogni unità di tempo, dalla latitudine del luogo in cui si compie l'esperimento (maggiore è la distanza dall’asse terrestre, maggiore è la rotazione del pendolo).

Il primo a compiere l’esperimento con degli strumenti che permettessero di rilevare con buona approssimazione questa rotazione fu Léon Foucault (1819-1868), nel 1851, il quale, durante un famoso esperimento compiuto a Parigi sotto la cupola del Pantheon con una grossa sfera di rame di 30 kg sostenuta da un filo di acciaio lungo 68 metri, e con una sospensione sferica particolarmente curata, per non introdurre forze di trascinamento, riuscì a dimostrare la rotazione della Terra rispetto alle “stelle fisse”. Osservò che il piano di oscillazione del pendolo da lui costruito ruotava di un giro completo ogni 32 ore circa. Successivamente l’esperimento fu ripetuto e i dati furono confermati.

Ma la storia del pendolo in sé, ci serve, implicitamente, a studiare la maggior parte dei moti armonici che andarono a determinare le svolte fondamentali della scienza moderna. E la storia del moto armonico può partire addirittura da Keplero (benché lui non lo avesse studiato nella maniera in cui lo affrontiamo oggi): questa è la prima legge di Keplero

 

Un pianeta descrive nel suo moto di rivoluzione un’orbita che può essere paragonata con ottima approssimazione ad un’ellisse, della quale il sole occupa uno dei due fuochi

 

Possiamo fermarci già qui, perché se per descrivere il moto di un qualsiasi pianeta del nostro sistema solare è sufficiente un’ellisse, (come quella in figura), definiti i semiassi dell’ellisse a e b, possiamo individuare la posizione di un pianeta (ovvero di un qualsiasi punto dell’ellisse) con le coordinate x e y nel seguente modo (equazione che descrive un’ellisse come effettivamente noi la rappresentiamo con centro nel punto (0;0) in un piano cartesiano).

 

L’importanza del moto armonico è evidente anche nella rivoluzione scientifica, portata avanti da Max Planck studiando le caratteristiche del corpo nero. Ma qual è il collegamento tra il corpo nero e il moto armonico? Un corpo, ad esempio un metallo, può essere considerato come un reticolo di nuclei in equilibrio, mentre gli elettroni fanno parte della nube elettronica attorno al metallo. I nuclei sono liberi di vibrare attorno a questa posizione di equilibrio e, come insegna l’elettromagnetismo, una carica oscillante emette onde elettromagnetiche a seconda della sua frequenza orbitante. Dal momento che ogni carica oscilla con diversa velocità dalle altre, le frequenze delle radiazioni dovrebbero formare uno spettro di emissione continuo. Tuttavia i dati sperimentali del corpo nero di Rayleigh e Jeans non concordavano con i dati teorici e per questa ragione Planck cercò di dare una spiegazione al fenomeno. Egli propose ad ogni frequenza (e quando parliamo di frequenza dobbiamo presupporre un moto armonico) dovesse corrispondere una ben determinata quantità di energia per particella. In formule:

E=nhf

dove h è la cosiddetta costante di Planck, f la frequenza del corpo oscillante, e n un numero intero detto numero quantico. L’energia risultava quindi quantizzata e per una determinata frequenza, la quantità di energia doveva essere necessariamente un multiplo di . I dati teorici questa volta riuscirono a prevedere quelli sperimentali, e la risonanza che questa equazione ebbe fu fondamentale per descrivere moltissimi fenomeni fisici fino ad allora rimasti inspiegati (basti ricordare l’effetto fotoelettrico, spiegato da Einstein proprio alla luce della scoperta di Planck)

Ma il moto armonico non fu fondamentale solo per descrivere i grandi cambiamenti che queste due rivoluzioni scientifiche portarono, ma anche, ad esempio, per parlare dell’importanza che esso può avere nella descrizione della periodicità dei sistemi; prendiamo ad esempio l’equazione che descrive l’energia di un pendolo o di una massa oscillante (entrambi con una determinata costante di elasticità k) oscillanti in un sistema dove l’attrito è nullo:

 

Il grafico sarà quindi simile a quello precedente.

 

Fissato un punto arbitrario di coordinate x, p, noi avremo quei valori (ovvero ci troveremo in quel punto) con una periodicità pari al periodo del sistema stesso. Quindi anche in questo caso ci troviamo di fronte a un moto armonico il cui andamento è approfondibile grazie allo studio del moto del pendolo quale lo andremo ad esaminare.

Questo piccolo excursus ci permette di capire quanto il pendolo, e il suo studio associato al moto armonico, abbia potuto influire sulla storia della scienza e ci serva nella vita di ogni giorno (o almeno serve agli ingegneri che devono costruire i nostri ponti, le nostre piattaforme, dal momento che, se nella costruzione della loro infrastruttura le dessero dei parametri che le conferissero una frequenza di risonanza simile o uguale alle frequenza delle forze esterne a cui queste strutture sono soggette normalmente, il nostro ponte o la nostra piattaforma durerebbero ben poco).

 

Bibliografia

  • Feynman, Leighton, Sands, The Feynman Lectures on Physics, Addison Wesley Company, Reading, MA, 1963
  • Aleksandrov, Kolmogorov et al., Le Matematiche, Bollati Boringhieri, Bologna,2000
  • G. Zampieri, Appunti dalle Lezioni, Liceo Scientifico Alvise Cornaro, Padova 2002
  • R. Courant, H. Robbins, What is mathematics? An Elementary Approach to Ideas and Methods, Oxford University Press, 2nd edition revised by Ian Stewart, N.Y., 1996
  • F. Ayres, Calcolo differenziale ed Integrale, McGraw-Hill, Milano, 1994
  • W. W. Sawyer, Che cos’è il calcolo infinitesimale, BMS Boringhieri, Bologna, 1978
  • Lamberti, Mereu, Nanni, Corso di Matematica 1-2-3, Etas Libri, Torino, 2000
  • Peter J. Nolan, Complementi di Fisica, Fisica Moderna, Zanichelli, Bologna, 1996

 

Iconografia

  • Le immagini dell’ellisse sono state realizzate dall’Autore con Excel 2002
  • www.pcangelo.eng.unipr.it
  • www.culture.fr
  • www.matematicamente.it
  • www.vialattea.net
  • www.the.planet.saturn.com

 

Ringraziamenti

Voglio ringraziare il professor Giuseppe Zampieri per l’aiuto prestatomi nello sviluppo di questo lavoro, per le lezioni impartitemi su questo argomento e per la grande pazienza avuta con me.